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Maison de l’amour. Elogio di narrative creative lente. Guccify P\E 2018

Maison de l’amour: Roma. La sfilata comincia con una proiezione di Roma. Non è ignota la passione di Michele per la capitale. Fontana di trevi, Colosseo, tempio di Vesta e tutti quei luoghi che ricorrono – reali e in sequenza – nelle sue storie di instagram. È lei musa ispiratrice primitiva. Suoi i frammenti riportati nella scenografia allestita al Gucci hub. Un pezzo di foro romano. Una colonna. La statua di Apollo. Un Buddha cinese. Venere. Il fiume Tevere come passerella che unisce tutti i mondi impossibili.

Poi la musica.

E le luci. Quelle di una discoteca inglese allestita in una chiesa sconsacrata. Di quelle dove, da teenager, si è ballato fino all’alba sognando quello che saremmo diventati da grandi.

Guccify è caos creativo. Rituale. Modernariato. Artigianato e antiquariato.

Maison de l’amour: gucci è la casa del caos creativo

Caos creativo e metalinguaggi. Il mondo Gucci è prima di tutto istinti e associazioni quasi casuali. Arte e resistenza.

Come fa a non piacere ai millenials?  53% dei consumatori del marchio (CEO Marco Bizzarri).

L’opera d’arte è un atto di resistenza. Così come il processo creativo.

È per questo che Alessandro Michele resiste nella sua narrativa. Questa volta cita Gille Deleuze, uno tra i tanti fantasmi di shakespeariana memoria, che popolano i suoi mondi. Mondi che è capace di difendere. Non intende cambiare. Così tutela il processo creativo senza piegarsi alla velocità e al cambiamento. Alle tendenze e a ciò che è di moda.

Quello che rende il mondo Gucci di oggi, maison de l’amour e universo distante dagli altri, è la sensazione di essere raggiungibile e irraggiungibile allo stesso tempo. Sensazione tipica delle opere d’arte.

Raggiungibile nel mescolare stili,  epoche e sensazioni.  Come se ognuno di noi potesse vestire Gucci semplicemente aprendo l’armadio della mamma o della nonna. Irraggiungibile nel constatare che, per farlo, ci vuole arte, talento, genio creativo e cultura.

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Ma cos’è la maison de l’amour, la guccification

Slogan, personaggi dei cartoni animati – da biancaneve al bunny rubbit della warner bros.  Eroi ed eroine anni ’80 e ’90. Archivi storici di popstar come elton John. Geishe orientali, occidentalizzate. Dipinti koreani e copertine di dischi che diventano borse e stampe. Uomini che indossano impuniti gli short e le ciabatte con il calzino.

Alessandro Michele si fa passare ogni sfizio.

Lui non vuole avere regole. O per lo meno non vuole seguirle. Per chi vive in questa epoca e non è troppo giovane, ogni collezione Gucci è un potpourri di mondi emotivi e immagini di riferimento. Appartengono a quello che siamo stati. Che eravamo fino a ieri. O che vorremmo avere la forza di cominciare ad essere.

Maison de l’amour, universo unico

Tutto questo carico trasforma abiti in punti di vista unici. Con la forza di non aver paura di eccedere, stonare, stridere. Di essere troppo.

Incoraggiato dal suo CEO, Gucci – difficilmente non impersonabile nel direttore creativo – ha avuto il coraggio di essere ciò che voleva. Forte di un heritage e non curante dei rischi.

Con oggi l’era guccify continua. E con lei tutto continua. Nel sembrare stare insieme per caso, ma prendere senso conoscendo i mondi di appartenenza. Quelli in cui viviamo.

Il gioco dell’over mixing (stampe tappezzeria, glitter, occhiali XXL, blazer, tartan, stelle, ori, gioielli…) è stato come sempre forte e attuale.

Ma a chi non piace giocare?

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