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Sfilate Milano Parigi inverno 2017. È utile un confronto?

Sfilate Milano Parigi inverno 2017 quando il confronto dovrebbe essere costruttivo. Nel pieno della PFW ancora è tempo di metabolizzare Milano. Mentre cerco la mia figura leggo quello che è stato scritto e detto. Tra le solite polemiche di chi difende la moda nostrana e di chi la attacca, emergono alcuni voci su altre.

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Sfilate Milano Parigi inverno 2017: le voci

Angelo Flaccavento su Business of fashion sceglie una costruzione in mattoni rossi, con tanto di gru, vicino al nuovo quartier genere di Gucci, come icona del work in progress nel quale la città di Milano e la sua settimana della moda si trovano oggi.

I want to swim in my ocean

ha detto Alessandro Michele nel backstage, prima della sfilata.  E in realtà nell’oceano Gucci sembrano voler nuotare in molti.  È infatti ancora lui che detta il tempo e le linee guida da seguire. Pochi e rimasti in ombra, quei marchi che non hanno ceduto alle lusinghe di decori e imprevedibili combinazioni.

Anche la statunitesta direttrice di Vogue Anna Wintour cita il lavoro del romano Michele tra i quattro show  (Marni, Prada, Gucci e Dolce&Gabbana) che per lei hanno fatto questa settimana della moda milanese.

La moda deve essere emozionale oggi.

Per questo apprezza il debutto di Francesco Risso da Marni che ha combinato forme e tessuti classici con una nuova identità che parla molto più da vicino dell’essere donna. L’esclusivo \ inclusivo mood chic anni ’70 ispirato di Prada. La poetica del Guccismo e la gioia e il divertimento del duo che ama l’Italia – Dolce&Gabbana.

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Al di là di quello che dicono i grandi ecco il punto sulle sfilate Milano Parigi inverno 2017

Al di là dei pareri della stampa estera, del fatturato e dei numeri, bisognerebbe guardare calendario e collezioni. Guardarlo in maniera non autoreferenziale, ma confrontandolo con quella che da sempre è la nostra sorella a la mode: Parigi.

Ci sono cose che mancano alla MFW e molte sono proprio correlate  alla sfera emozionale.

  • curiosità. Quella che si alimenta sul lavoro delle grandi case che hanno fatto la storia della moda e che, facendo le dovute eccezioni, non riescono a creare pezzi che ti rimangono impressi.
  • stupore. Il genio, la provocazione, il di più che caratterizza  i designer più liberi e meno imbrigliati nelle logiche di mercato.
  • appeal. La capacità di richiedere \ attirare attenzione per sette giorni e non solo nei primi tre.

La PFW, invece, è quella che ti fa tenere il fiato sospeso ogni giorno più volte al giorno.

La verità sulle sfilate Milano Parigi inverno 2017

Se da un lato non è vero che Milano non esiste, è insulare o geolocalizzata, dall’altro rimane provinciale. Provinciale perché provinciale – ahimè – è il contesto in cui viene prodotta e raccontata.

Questa la ragione per la quale Lucio Vanotti, purista delle forme e dei contenuti, simile per modus operandi a un artista contemporaneo non riceve la giusta attenzione. Eppure porta in passerella piedi dipinti di bianco. Abiti dalle tinte neutre e le forme essenziali capaci di accompagnare, quotidianamente e silenziosamente, il chiassoso rituale del quotidiano.

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Il motivo per cui giovani e meno affermati come l’austriaco Arthur Arbesser e Ricostru sfilano quasi al riparo dei riflettori di una fashion week che finisce sempre troppo presto in termini di interesse.

Milan Fashion week, sembra essere diventata la settimana di Gigi e Bella Hadid. Più importante accaparrarsi le modelle dei social piuttosto che far parlare la leggerezza dell’essere come da Rochas. L’allure francese, per quanto un po’ sbiadita di Lanvin. I volumi, le scollature, gli eccessi che disegnano spalline, punti vita e maniche abbondanti sui corpi che scompaiono delle modelle di YSL.  Ai nomi illustri in passerella il compito di dare voce alle collezioni, piuttosto che le collezioni stesse.

MFW, la settimana dove gli abiti passano troppo spesso in secondo piano. Dove l’inaspettato, l’inatteso, il sogno sembra sbiadirsi chissà dove. Dove si parla di tutto tranne che del lavoro di molti dei nostri stilisti.

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